Rosalba Carriera

(1673 - 1757)
Rosalba Carriera

Biografia

Nacque a Venezia il 7 ott. 1675 da Andrea e da Alba Foresti. Il padre stesso, legista nell’amministrazione privata del procuratore di S. Marco e pittore per diletto, dovette incoraggiare la figlia nella passione per l’arte, facendola poi educare da buoni maestri.

La C. fu allieva prima di Giovanni Antonio Lazzari, pittore poco più che dilettante, che, in alcuni ritratti a pastello (Venezia, Ca’ Rezzonico), senz’altro opere piuttosto tarde, mostra di aver sentito l’influenza dell’allieva; poi di Giuseppe Diamantini; più tardi, infine, di A. Balestra, al cui culto della forma, neoclassico ante litteram, riportato dall’educazione romana, la C. non rimase estranea: infatti la sua arte fu sempre legata ad una certa consistenza formale e precisione disegnativa (si vedano, per esempio, le miniature).

Questa attività, nella quale cominciò ad esprimere le sue qualità pittoriche, fu per la C. prevalente fino a tutto il primo decennio del XVIII sec., ma ella non l’abbandonò quando si dedicò al pastello.

La C. dovette dipingere molti di questi “fondelli” (come indicò lei stessa questo particolare ritrattino su avorio); di essi ricordiamo: la Fanciulla con colomba (Roma, Accademia di S. Luca), delicatissimo saggio della sua arte inviato all’Accademia romana, che la accoglieva nel 1705 fra i suoi membri; il Ritratto di gentiluomo (Venezia, Ca’ Rezzonico), identificato dal Jeannerat (1931)e poi dal Pignatti (1956)con quello di A. M. Zanetti, che si può far risalire allo stesso periodo del precedente, come pure il Ritratto di dama, che gli fa da “pendant” nello stesso museo. Esempi di queste miniature sono stati pubblicati dal Jeannerat (1931)altri si trovano nelle Gallerie di Dresda, all’Albertina di Vienna, nel Bayerisches Museum di Monaco.

Frattanto, probabilmente agli inizi del secolo, come suppone il Malamani (1910), la C. incominciò a studiare il pastello, su esempio e suggerimento del dilettante inglese Christian Cole (segretario del futuro console Joseph Smith), che la C. aveva conosciuto facendogli il ritratto. La prima notizia sicura di un ritratto a pastello risale comunque al 1703 (Malamani, 1899).

Non presentando l’arte della C. una vera e propria evoluzione, il problema cronologico dei suoi pastelli è particolarmente difficile ed essenzialmente legato ai pochi ritratti datati, all’identità dei personaggi o ad altre notizie contingenti. Perciò alla sua pur intensa attività anteriore al 1720 possiamo assegnare con una certa sicurezza poche opere: il ritratto di Don Agostino Suarez (Milano, coll. Orsi), datato 1710; l’Autoritratto degli Uffizi, consegnato al granduca Cosimo III, pare, nel 1715; il ritratto di Philip di Wharton (Londra, Buckingham Palace), databile intorno al 1720; la testa di Vergine (Venezia, S. Trovaso)

Nel primo periodo di attività, verso il 1710-15, si situa anche il ritratto di Augusto III (Vienna, Kunsthistorisches Museum), uno dei rarissimi oli della C., ancora vicino ai ritratti di parata seicenteschi, rispetto al quale quello citato del Duca di Wharton, di poco posteriore, rappresenta, oltre che un salto qualitativo, anche il passaggio a un gusto nuovo, così nell’impostazione come nella concezione del ritratto.

Nel genere particolare della ritrattistica, dunque, per evidenti caratteristiche di libertà e leggerezza pittorica, alla formazione delle quali non fu certo estraneo l’esempio del cognato G. A. Pellegrini, la C. si inserisce nella corrente rococò, che sulla fine del sec. XVII riporta la pittura veneziana su un piano di rinnovamento internazionale.

Il solo viaggio veramente importante che la C. effettuò lontano dalla sua amatissima città fu quello in Francia. Poco dopo aver ricevuto un nuovo riconoscimento alla sua arte con la nomina a membro dell’Accademia Clementina di Bologna, nel marzo 1720 la C. partì per Parigi, dove soggiornò circa un anno, ritraendo i personaggi più in vista della capitale, non escluso il re Luigi XV.

Se vivificante fu il suo esempio per i ritrattisti francesi della successiva generazione, quali M. Q. de La Tour e J.-B. Perroneau, ella d’altra parte sembra aver subito il fascino di A. Watteau, al quale fece anche quel ritratto, che dal Cailleux (1969)è stato identificato con il Gentiluomo del Museo civico di Treviso. Al periodo parigino appartengono certamente i due pastelli del LouvreLa Fanciulla con scimmietta e la Musa, quest’ultimo inviato poco dopo il ritorno a Venezia, come pezzo di ringraziamento per l’ammissione all’Accademia parigina. Di tutti i ritratti elencati nel Diario, nel quale la C. annotò puntualmente dall’aprile 1720 all’11 marzo 1721 i fatti delle sue giornate parigine (Diario degli anni 1720 e 1721scritto di propria mano in Parigi da R. C.…, a cura di G. Vianelli, Venezia 1793;ediz. francese, a cura di A. Sensier, Journal de R. C. pendant son séjour à Paris, Paris 1865)pochissimi possono essere identificati e rintracciati: fra questi, il ritratto di M.lle de Clermont (Chantilly, Museo Condé) al quale pare riferirsi una notizia del Diario stesso.

Il viaggio a Parigi accrebbe anche in Italia la fama della pittrice che nel 1723 fu invitata alla corte di Modena, dove soggiornò probabilmente da luglio a novembre, per eseguire i ritratti delle principesse estensi. Le due serie quasi identiche che si trovano nella Galleria degli Uffizi e in quella di Dresda furono probabilmente dipinte durante il soggiorno modenese; altri ritratti delle stesse principesse, di cui si trovano più tardi notizie nei diari furono evidentemente fatti su esemplari da lei conservati.

Nel 1724, come risulta dai diari (Malamani), furono dipinti i due bellissimi ritratti di Sebastiano Marco Ricci (Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle), che, in contrapposizione ai ritratti delle principesse estensi, mostrano come l’arte della C. tanto più si ravvivasse quanto maggiore era l’interesse umano offerto dal personaggio. Accanto al ritratto del Console Leblond, eseguito nel 1727, si possono presumibilmente collocare gli altri ritratti di membri della stessa famiglia, tutti nelle Gallerie veneziane. Un ritratto dal timbro particolarmente vigoroso come quello del Conte Nils Bielke (Stoccolma, Nationalmuseum) del 1729 dimostra che, almeno in questo momento, la C. non dovette rimanere estranea all’influenza di una ritrattistica, pur improntata a un ben diverso realismo, qual è quella di fra’ Galgario. Intorno al 1730 si può forse datare il ritratto della cantante Faustina Bordoni (Dresda, Gemäldegalerie), del quale esiste anche una versione più tarda, che è oggi a Venezia (Museo di Ca’ Rezzonico).

Come di altri temi allegorici, così anche di questo la C. eseguì più di una versione, dimostrando però di non ripetersi mai esattamente e pedissequamente, pur nella ripresa di motivi ricorrenti: così è per la serie di Stagioni dell’Ermitage (Leningrado), abbastanza vicina per stile, e quindi per datazione, alla Primavera e all’Autunno di Windsor; e per quelle, proprietà del National Trust, provenienti da Polesden Lacey, Surrey, esposte a Peckover House, Cambridgeshire, e per il ritratto di signora nelle sembianze di Cerere, conservato a Castagnola nella coll. Thyssen-Bornemisza.

Nel 1730, da maggio a ottobre, la C. affrontò un nuovo viaggio all’estero, questa volta alla corte dell’imperatore d’Austria Carlo VI, che ella aveva conosciuto due anni prima a Gorizia, ove aveva assistito al suo solenne ingresso in città.

Durante il soggiorno viennese eseguì fra gli altri il Ritratto dell’imperatore stesso, oggi perduto, il ritratto del Metastasio (Dresda, Gemäldegalerie) e presumibilmente quello del “disegnatore di camera” e “disegnatore teatrale” Daniele Antonio Bertoli (Flambruzzo [Udine], coll. Rota; venne inciso da G. A. Müller): quest’ultimo (che il Someda de Marco data al 1732), secondo il Rizzi (1966), “denuncia quanto sia stato tonificante per la Carriera l’esempio del Bombelli, voltato in chiave rococò e mondanizzato”. Questa influenza del pittore friulano ci aiuterebbe anche a capire un legame tra la C. e fra’ Galgario, al quale il Bombelli fu appunto maestro, e comunque chiarisce il quadro artistico entro il quale lavorò la pittrice, da un lato inserita nella corrente rococò, dall’altro stimolata dall’esempio dei maggiori ritrattisti del tempo.

Tra le opere più penetranti della pittrice può stare il ritratto del Cardinale di Polignac (Venezia, Gallerie dell’Accademia), eseguito nel 1732, durante una breve sosta del personaggio a Venezia.

Manca un corpus delle opere della C., ma pur essendo difficile, nell’ambito della sua vastissima produzione, ravvisare gli elementi di una vera e propria evoluzione stilistica, si può notare che, mentre fino alla metà del terzo decennio appare prevalente l’influenza dell’arte pellegriniana, così aerea e frizzante, opere posteriori, soprattutto a partire dall’inizio del quarto decennio, sembrano ammarsi di una più intensa vitalità interiore: l’interesse della pittrice, cioè, pur non rinunziando alle sue inconfondibili caratteristiche di grazia e lievità pittorica, si concentra maggiormente sulla psicologia del personaggio.

Sulla base di queste considerazioni sembra di poter collocare nel quarto decennio del secolo alcuni tra i più begli esempi della sua ritrattistica, come lo stupendo ritratto di Caterina Sagredo Barbarigo (Dresda, Gemäldegalerie), una delle bellezze di Venezia, alla quale la pittrice fece altri ritratti, ed un altro noto ritratto femminile, quello della Dama attempata delle Gallerie veneziane.

Altri bellissimi esempi dell’arte rosalbiana si trovano sparsi in collezioni private d’Inghilterra, dato che gli inglesi furono tra i più assidui e ammirati clienti della pittrice. Forse del 1739 è il ritratto di Sir John Reade (Washington, National Gallery), nel quale la C. esprime attraverso i tratti fisionomici l’indole del personaggio con una così pungente e realistica acutezza, che sembra preannunciare aspetti della ritrattistica inglese del secondo Settecento.

Verso la fine del 1746 una malattia agli occhi, che già si era manifestata vent’anni prima, si aggravò all’improvviso conducendo la C. alla cecità completa, nella quale visse per tre anni. Nel 1749 un’operazione le ridiede almeno in parte la facoltà visiva, ma dal 1751, nuovamente cieca, dovette trascinare gli ultimi anni della vita nella più triste angoscia, al punto che, secondo i suoi biografi, verso la fine perdette la ragione. Si spense nella sua città il 15 apr. 1757, lasciandoci come ultima impietosa immagine di sé l’Autoritratto delle Gallerie veneziane, nel quale, stando a quanto dice lo Zanetti (1771) ella volle rappresentarsi sotto le sembianze della Tragedia.

Il gusto tipicamente rococò, anche se interpretato con spirito veneziano, della ritrattistica della C., destò iperboliche lodi da parte dei contemporanei, ma fece poi dimenticare o anche disprezzare la sua arte con l’avvento del gusto neoclassico. Agli inizi del Novecento, la figura di questa artista cominciò ad essere recuperata dalla critica, finché il giudizio del Longhi (1946) ne decretò la più completa rivalutazione: “Occorre altrettanta forza di fantasia – egli scriveva – altrettanto vigore morale ad esprimere la lievità che l’energia, così che non sarebbe inesatto dire che Rosalba seppe esprimere con forza impareggiabile la svaporata delicatezza dell’epoca”.

Fonti

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